giovedì 3 novembre 2016

L'ARTE MEDIEVALE ALLA FOCE

DANIELE CAGNIN


Premessa
            In questo “articolo” parleremo delle cinque opere d’arte di epoca medioevale presenti, ai nostri giorni, nel territorio della Foce Antica e più precisamente nella chiesa parrocchiale di Santa Maria dei Servi (“inaugurata” nel maggio 1972 dal Cardinale Giuseppe Siri): per un maggiore approfondimento consiglio la lettura della Guida storica – artistica Santa Maria dei Servi pubblicata nel 2002, disponibile anche presso la Biblioteca Servitana; dopo questo “primo passo”, il suggerimento successivo è la “visita”: probabilmente le avrete già visionate, forse con “occhi poco critici”.
Tali “manufatti” provengono dalla distrutta chiesa di Nostra Signora dei Servi che si trovava nel rione di via Madre di Dio prima della seconda guerra mondiale, quindi in un luogo lontano dal nostro quartiere, ma di quell’epoca è molto difficile ritrovare qualche “reperto originale” riconducibile alla Foce.
La fondazione del Borgo della Foce, come detto già più volte nelle precedenti ricerche1, è da fissare in un periodo compreso tra la fine del secolo XIV e l’inizio del secolo XV, e dalle fonti documentarie sappiamo che circa cent’anni dopo il “borgo” era composto da circa dieci case, quindi un numero limitato per poter lasciare un’eredità: va inoltre notato che la cappelletta di San Pietro (citata in un documento del 1448), fu demolita agli inizi del Seicento.
La “produzione artistica” che analizzeremo è la seguente: Tavola della Madonna della Misericordia di Barnaba da Modena (1377 – 1383), Lapide della Madonna della Misericordia di Pace Gaggini da Bissone (1476 ?), Lapide della Madonna con Gesù (della fine del secolo XV), L’Affresco del Santo Amore (1420 – 1430) e il Crocifisso dell’altare Maggiore (della seconda metà del XV)
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Tavola della Madonna della Misericordia (1377 – 1383)
L’opera in questione, un unicum nel panorama artistico, è senza dubbio l’oggetto d’arte più rappresentativo della chiesa di Santa Maria dei Servi. Esaminando la tavola, realizzata con la tecnica della tempera, si possono distinguere due “temi”, uno di carattere religioso, ed è il più evidente, il secondo di carattere sociale che si “svela” dopo averne studiato la storia.
La tavola può essere paragonata ad un ex–voto (la protezione per la peste del 1372) e rappresenta la Madonna della Misericordia o del Soccorso. Risulta originale poiché il tema degli “Angeli che dall’alto saettano frecce senza misericordia”2è in anticipo di circa un secolo sull’affresco eseguito da Benozzo Gozzoli, nel 1464 per la chiesa di Sant’Agostino a San Geminiano, che molti critici considerano il “primo”. Il manto della Vergine (di esclusiva ispirazione mariana) serve da “riparo” in quanto le persone che non sono sotto la sua “protezione” muoiono all’istante.
Tra i personaggi della tavola spiccano il Vescovo di Genova, che era frate domenicano, Andrea della Torre (milanese, in carica dal 1368 al 1377, 30 ottobre, giorno della sua morte), tre frati Servi di Maria (Ordine sorto nella Firenze del XIII secolo), altri religiosi, alcuni mercanti o artigiani (riconoscibili dalla foggia dei vestiti: da notare che esistono quattro “figure” ben definitive, si può ipotizzare che siano i priori della Consortia de li Foresteri3), alcune donne con i lineamenti poco definiti e rigorosamente divise dai quindici maschi: dei personaggi femminili sono distinguibili nove figure in bianco, sicuramente delle religiose, l’unica figura femminile ben definita è quella dai “capelli fluenti” con in capo un diadema: potrebbe essere la moglie del Duca albanese (citato negli statuti della compagnia sopra citata), e forse lo stesso autore Barnaba da Modena (che soggiornò a Genova dal 1361 al 1383, probabilmente insieme ad allievi senesi), implorante anche lui la sua parte di protezione contro il terribile male. Il gruppo di persone sopra nominate, sono tutte forestiere: una concentrazione così numerosa non deve sorprendere, anzi ci deve far riflettere su come in un epoca distante dalla nostra circa sette secoli, “l’ospite straniero” non era discriminato veniva accolto (probabilmente dovuto anche alle “ricchezze economiche” che portavano in dote), con ampio senso di tolleranza, sembra un inno all’universalismo.
Il periodo di realizzazione della tavola è stato ipotizzato in un intervallo compreso tra il 1377, la data di morte del Vescovo e il 1383, l’ultima data nota dell’autore a Genova. Il primo critico che attribuì al Barnaba la tavola fu lo studioso tedesco Wilhelm Suida nel 1906.
Cosa successe alla tavola del Barnaba durante i secoli?
Nel 1502 la chiesa dei Servi “ricevette una visita illustre”: il re di Francia, Luigi XII.
Fu ospite di Gian Luigi Fieschi, nel suo palazzo di via Lata; per sette giorni visitò molte chiese e palazzi di Genova, ma solo nella chiesa dei Servi compì la funzione caratteristica dei re di Francia (neanche nel Duomo o in altre chiese). Questo fatto si spiega con la presenza, nella chiesa, della compagnia dei forestieri, ed in particolare della copiosa presenza di francesi. Il 31 agosto il re «sul far de l’alba scese dalle alture»4per venerare la Beata Vergine Maria nella chiesa dei Servi, chiamato dai confratelli “foresti” per dare prova delle virtù miracolose che il cielo concedeva ai re francesi: guarire infermi ed in particolare gli scrofolosi. Ciò avvenne ed ad ogni guarito il monarca donava una moneta. In questa circostanza fu, affrettatamente, “restaurata la tavola”, che il fumo dei ceri e degli incensi, per oltre un secolo, ne aveva offuscato la bellezza primitiva: fu ridato l’oro e sul manto furono dipinti grossolanamente e di fretta undici gigli di Francia, probabilmente per «compier opera gradita al Re»5.
Durante la peste del 1532, il Senato della Repubblica, con a capo il “Serenissimo” Battista Spinola (figlio di Tommaso) si recò ad implorare l’aiuto di Maria Addolorata per la cessazione del tremendo flagello; a seguito di questa calamità Marcello Remondini6attribuì a questo secolo la “nostra tavola”7.
Agli inizi del Seicento i confratelli della Confraternita della Vergine dei Sette Dolori, sorta sul finire del XVI secolo, per manifestare la propria presenza all’interno della chiesa dei Servi, fecero dipingere sul petto della Madonna della Misericordia sette spade tolte poi con il restauro del 1952.
Durante le manifestazioni per la Giornata Mondiale della Gioventù, la tavola, dopo aver eseguito un intervento di restauro, è stata esposta nel museo diocesano di Cracovia.

Figura 1: Barnaba da Modena – Madonna della Misericordia



Lapide della Madonna della Misericordia (1476 ?)
Forse è opera dello scultore lombardo Pace Gaggini (o Gagini) da Bissone (di cui si hanno notizie nel periodo 1493 – 1522, figlio di Beltrame), le sue dimensioni attuali sono: altezza cm. 98,5, larghezza cm. 62,5. Era sicuramente di proprietà della Consortia de li Foresteri perché è ancora presente il tema della protezione della Vergine con il suo manto.
La riproduzione della Madonna è un’esile figura con le braccia poco proporzionate al corpo, e con mani molto grandi. Vi sono due angeli che reggono, come nel caso della tavola, il manto sotto al quale troviamo a sinistra delle persone maschili senza copricapo e a destra delle figure femminili con un velo sopra la testa.

Figura 2: Pace Gaggini da Bissone (?) – Lapide Madonna della Misericordia



Lapide della Madonna con Gesù (sec. XV)
Di che anno è?
Questa è la stessa domanda che si fece Adolfo Bassi8nella sua trattazione del 1928, perché purtroppo manca ogni riferimento temporale: il critico Federico Alizieri9, nel 1846, pur dubitando che una parte della lapide si celasse sotto all’intonaco, sperava di trovare la data e l’autore, ma la lapide è così come si vede ai giorni nostri.
Probabilmente è della fine del secolo XV, quindi di epoca successiva alla lapide precedente perché viene a mancare il “tema devozionale della protezione”: questa è anche la conclusione a cui arrivò il critico Mario Labò10nel 1927 ma soprattutto il già citato Alizieri11.
Si è usato il condizionale, sulla datazione, in quanto proprio il Bassi sostenne che l’uso dei caratteri gotici e non romani, come per altre lapidi di proprietà della consorzia, possa far risalire la lapide al 1414, l’anno di consacrazione “dell’altare di proprietà, o di epoca poco successiva.
Fu eseguita o, molto più probabilmente, commissionata da Corrado di Francoforte, socio o benefattore della Consortia de li Foresteri; le sue dimensioni attuali sono: altezza cm. 73,5, larghezza cm. 48. Per darne una descrizione precisa dell’immagine riporto le parole scritte dallo storico Remondini12: «L’atteggiamento del Bambino è veramente grazioso; ei tiene sul petto della madre distesa la mano sinistra, e si accosta bambinescamente alla bocca l’indice della destra. La Madonna poi che l’ha sui ginocchi, lo tiene fermo a mezza la personcina con una mano, e coll’altra tiene a piedi di lui un libro.»
Un’ultima osservazione: nella parte inferiore della lapide sono scolpiti due “vertici di triangolo” sormontati da due esigue croci; nessuno degli autori citati fin ora riporta tale raffigurazione … l’unico che ne fa menzione è il Portigliotti, il quale “sbriga la pratica” con la seguente frase: «simbolo o emblema di oscuro significato»13.
E’ possibile che non abbiano alcun valore artistico? Sarà un’aggiunta postuma? Sarà stato questo “secondario” fregio a far dubitare l’Alizieri sul fatto che la lapide non fosse completa?
Purtroppo a tutte queste domande non si potrà dare una risposta certa e sicura, mancando i documenti comprovatori si possono soltanto formulare delle ipotesi poco attendibili.

Figura 3: Anonimo secolo XV – Lapide della Madonna con Gesù



Affresco del Santo Amore
            Uno dei quesiti che ancora tutt’oggi, anche a seguito del restauro del 2013, non ha trovato una soluzione definitiva, è il nome del pittore. Consultando le fonti a disposizione in maniera cronologica notiamo che tutte si contraddicono: agli inizi del Novecento il Novella14ci riferisce che fu eseguito dal pavese Lorenzo Fazolo15, negli anni venti del secolo scorso il Labò lo attribuisce ad un quattrocentista ritardatario16, da un pubblicazione17relativamente recente l’autore è fatto coincidere (forse per una questione “campanilistica”) con Andrea d’Alessandria, frate Servo di Maria. A seguito del restauro, la “lettura iconografica” pone come intervallo temporale il decennio compreso tra il 1420 e il 143018, lasciando anonimo l’artista.
Chi ebbe la possibilità di esaminare l’affresco prima del 1942, poté notare che fu eseguito in due riprese.
La “parte centrale” rappresenta una MADONNA DI MAESTA’ di tipo trecentesco ed era circondato da due lesene19che reggevano una cimasa20.
Nella “fascia circostante” furono dipinti, in un secondo tempo, dei personaggi biblici (quelli attualmente rimasti sono i profeti Giona e Geremia, il patriarca Giacobbe e i re Davide e Salomone), delle teste di cherubini e Cristo fuori del sepolcro: quest’ultimo fu quasi distrutto per murare il ciborio21in un altarino e il tutto era sormontato da un “arco scemo”, entro cui era dipinto “Dio Padre Benedicente”, anche quest’opera fu realizzata da un pittore ligure – lombardo nel Cinquecento.
L’intero affresco fu disposto in una cornice marmorea di epoca rinascimentale, eseguita nel 1506 ed attribuibile ai fratelli Giovanni e Michele D’Aria di Como22, era sicuramente una delle cornici di altari più perfette che esistevano in Genova.
L’altare, invece, fu rifinito probabilmente da Giovanni d’Alessandria (frate Servo di Maria) non escludendo che possa essere il “dedicatore” dell’altare stesso: questo lo sappiamo da un iscrizione che era presente nella parte inferiore che recitava «Frater Johannes de Alexandria Ordinis Sancte Marie Verginis Jesus Christi Amor MDVI»23.
Nel corso dei secoli lo stesso affresco fu ritoccato «ne` panni»24e contraffatto dagli ex–voto dei fedeli. Il manto era stato dipinto con un costoso lapislazzulo, con del cinabro lo sfondo rosso, decorato in origine come un “tessuto operato”: nella prima metà dell’Ottocento fu eseguito un restauro (il Bartoletti25sostiene che fu uno sciagurato intervento nel corso del XIX secolo) riguardante il manto, eseguendolo con il blu di Prussia con del cromato di piombo. Altro restauro26fu eseguito, in maniera molto frettolosa, nel 1944: l’intervento moderno ha restituito la migliore leggibilità possibile a un dipinto, ancorché frammentario, soffocato e snaturato dallo stesso restauro del 1944.
Dal Libro delle Memorie del Convento (periodo 1818 – 1942), veniamo a sapere che nel XIX secolo l’affresco “avrebbe operato” due miracoli: il primo è registrato il 19 gennaio 1819 di una parrocchiana che si trasferì in Medio Oriente; il secondo è datato 8 agosto 1884, e il nome della parrocchiana è Caterina Cabella.

Figura 4: Anonimo 1420 - 1440 - Affresco del Santo Amore



Crocifisso dell’Altar Maggiore
Da sempre attribuito ad Anton Maria Maragliano (1666 – 1739 o 1664 – 1731), o forse alla sua scuola, a seguito del restauro conservativo (eseguito nel triennio 2009 – 2011), tale affermazione non trova più un riscontro attendibile: l’opera è da retrodatare e collocare nella seconda metà del secolo XV.
Possiamo supporre che il Maragliano, o la sua scuola, eseguì un “lavoro di restauro” sul finire del Seicento: in questa fase fu ridato il colore.
Un’ulteriore “lavoro di consolidamento” fu eseguito nell’Ottocento: nel retro del corpo è stata ritrovata una carta incollata che riporta la data del 28 ottobre 1840; anche in questa occasione fu ridato il colore, furono aggiunti, però, i seguenti elementi: barba e capelli, il “perizoma a svolazzo”, il cartiglio e la croce lignea dal colore nero.
Anche gli autori citati fin ora sostengono che tale crocifisso non appartiene né al Maragliano né alla sua scuola: il Novella27lo cita con “beneficio di inventario”, mentre il Labó28riferisce che esso potrebbe essere anteriore al periodo del Maragliano.

Figura 5: Anonimo secolo XV - Crocifisso
NOTE
1          In merito si consiglia la lettura dell’articolo La Chiesa di San Pietro nel Borgo della Foce…quattrocento anni di storia (anticafoce.blogspot.it, settembre 2015).
2          Questa credenza, secondo una comune mentalità medioevale, rappresenta lo strumento della divina giustizia irata; tale concetto lo ritroviamo anche nelle credenze popolari legate alla leggenda sulla peste di Roma dell’anno 590, descritte da Jacopo da Varazze, il quale racconta che si vedevano delle saette scendere dal cielo.
3          Il nome della confraternita (fondata ufficialmente il 10 agosto 1393) non è uniforme: Consortia, Societas Foresterorum o Exterorum; fu chiamata anche “Compagnia delle Quattro Nazioni” (come si poteva vedere all’Archivio Arcivescovile, “Scatola di Sant’Andrea” e “Scatola di Santa Maria dei Servi”, a seguito della seconda guerra mondiale tali documenti rimasero distrutti da una bomba che colpì l’edificio)*, cioè della Romana che comprendeva anche “popoli” napoletani e toscani, della Lombarda nella quale erano rappresentati veneziani e piemontesi, della Tedesca e della Francese; anche in questi due ultimi casi erano compresi altri popoli; forse gli unici non rappresentati erano gli inglesi e gli spagnoli, probabilmente per problemi politici: in un secondo tempo, quest’ultimi, prevalsero e con la loro ostilità la fecero decadere agli inizi del Seicento.
In epoca successiva fu chiamata Società di Santa Barbara. Essendo rappresentate quattro nazioni, gli statuti (scoperti agli inizi del ventesimo secolo, e che erano stati approvati ufficialmente il 19 aprile 1480, periodo in cui la “società” era nel massimo splendore, dal Cardinale Arcivescovo Paolo di Campofregoso) della confraternita prevedevano che ogni anno i “sindaci” (o priori) dovessero essere quattro, uno per ogni “nazione” e affiancati da consiglieri che potevano essere anche donne.
Per approfondire le conoscenze su questa società si possono visionare i seguenti libri: CASSIANO DA LANGASCO – P. ROTONDI; La Consortia de li foresteri a Genova, una Madonna di Barnaba da Modena e uno statuto del Trecento […], Genova 1957, p. 7 (B.B.G., Gen C 209); A. BASSI, Giornale Storico Letterario, Genova 1928 (B.B.G., GenB 245/11). La nascita di queste “confraternite straniere” era una costante anche di altri conventi servitani d’Italia, come Perugia, Viterbo e Firenze, ma tutti di epoca successiva a questa genovese.
4          A. BASSI, Giornale Storico Letterario, Genova 1928, p. 27.
5          Idem.
6          M. REMONDINI, I Santuari e le immagini di Maria a Genova, p. 153, Genova 1865.
7          Altri la considerarono un “residuo” del polittico di Pietro Resaliba; fu venerata da molti fedeli questa immagine (la stessa alla quale il governo genovese dell’epoca chiedeva aiuto per la fine delle epidemie); le cronache del tempo ci riferiscono che nella zona della chiesa dei Servi avvennero alcuni miracoli: in tutti i casi ai graziati comparve l’immagine sopra descritta. Sarà per questo motivo che la popolazione era molto devota alla “Madonna dei Servi”.
8          BASSI, Giornale Storico, p. 25.
9          F. ALIZIERI, Guida artistica per la città di Genova, vol. 1, Genova 1846, p. 236.
10        G. A. M. BONO – M. LABO’, Nostra Signora dei Servi – Le chiese di Genova illustrate – Vol. 3, Genova 1927, pp. 31 – 32.
11         ALIZIERI, Guida artistica, p. 237.
12        REMONDINI, I Santuari, p. 153.
13        G. PORTIGLIOTTI, L’Ospedale dei Foresti in Il Raccoglitore Ligure, Genova 1933, p. 4.
14        P. NOVELLA, Memorie Storiche Genovesi – Santa Maria dei Servi in Settimana Religiosa del 1904, p. 462.
15        Lorenzo Fazzolo (o Fasolo, di cui si ha notizia nel periodo 1463 – 1516) di Pavia fu colui che nel 1510 ricevette incarico, dai soci della “corporazione dei fornai”, nata all’inizio del Cinquecento, per la realizzazione di due opere d’arte: l’8 febbraio un’ancona di notevoli dimensioni («dieci palmi di larghezza, quattordici di altezza») e il 30 luglio gli affreschi della loro cappella (obbligandolo a restaurarli se entro un anno si fossero formate delle macchie d’umido); l’ancona scomparve, dell’affresco, nei primi decenni del secolo scorso, ne rimase una traccia piccolissima, consistente in una testa d’angelo.
16        BONO – LABO’, Nostra Signora dei Servi, p. 32.
17        U. FORCONI, Chiese e Conventi dell’Ordine dei Servi di Maria – Quaderni e notizie, Viareggio 1978, vol. 3, p. 20 e p. 117.
18        MASSIMO BARTOLETTI, La Madonna del Santo Amore: due momenti figurativi a Genova, tra Gotico “cortese” e Rinascimento “all’antica” in La Madonna del Santo Amore in La Madonna del Santo Amore restaurata e riconsegnata alla chiesa di Nostra Signora dei Servi a Genova, Genova 2014, p. 36.
19        Per LESENA si intende un pilastro che sporge appena da un muro e ha funzione unicamente decorativa.
20        Per CIMASA si intende la parte superiore della cornice di una porta, di una finestra o di una tavola dipinta.
21        Per CIBORIO si intende l’edicola con quattro colonnine poste sopra alcuni altari; nelle chiese paleocristiane e romaniche era collocato sopra l’altar maggiore.
22        NOVELLA, Memorie Storiche, p. 462.
23        BONO – LABO’, Nostra Signora dei Servi, p. 32.
24        ALIZIERI, Guida artistica, p. 232.
25        BARTOLETTI, La Madonna del Santo Amore, p. 37.
26        Idem.
27        NOVELLA, Memorie Storiche, p. 473.
28        BONO – LABO’, Nostra Signora dei Servi, p. 39.


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